di Imma di Nardo (Corsico – MI)
Finalista concorso "Scritti da ridere"

L’ultima palata di terra caduta sulla cassa risuonò irridente all’orecchio di Matteo. Era lì, senza cappello,
il giaccone di un pesante panno blu ben stretto intorno al corpo, i radi capelli a svolazzare al vento
freddo di una tarda mattina di marzo.
Perché mi è venuta alla mente proprio quella parola? si trovò a pensare, irridente è tanto lontana dal mio vocabolario
abituale che avrei voglia di condividere con qualcuno questa stranezza, ma accanto a lui non c’è che il vuoto e
davanti la lucida bara di mogano che gli uomini dell’agenzia stanno calando, adagio, nella fossa.
Mentre il prete salmodiava il suo rituale di cordoglio, Matteo, girando appena il capo all’indietro prese
atto che tutti, a partire dai familiari più stretti di Giovanni Persico, si erano disposti, compatti, ad
almeno tre metri dalla fossa. Solo lui si trovava quasi sul ciglio di essa e nessuno aveva avuto l’ardire di
chiedergli di spostarsi da lì.
Come se mi spettasse! E anche questo pensiero gli suonò irridente.
Marini lo aveva avvisato, al momento della proposta commerciale “particolare” avvenuta otto anni
prima. «Signor Rovere, viviamo nel nuovo millennio, ormai nessuno si formalizza più davanti a una
proposta di acquisto immobile in nuda proprietà.» E aveva preso a illustrargli “i notevoli vantaggi” per
entrambi i contraenti: “il nudo proprietario”, che acquistava l’immobile ma non poteva utilizzarlo fino
al trapasso de “l’usufruttuario”, colui che lo cedeva, ma che conservava il diritto di goderne fino
all’ultimo dei suoi giorni. Risultava evidente che l’interesse dell’acquirente, per ovvie ragioni biologiche,
cresceva con il crescere dell’età della controparte.
Al che lui, Matteo, aveva proclamato divertito che allora gli over novanta dovevano essere considerati
merce prelibata, un dato interessante.
«Quanto gioca eh? il fattore tempo», aveva proseguito l’agente immobiliare «in effetti risulta importante
per opposte ragioni per entrambe le parti in causa»; poi scuotendo la testa, aveva bofonchiato qualcosa
sulla mentalità retrograda della gente, le paure ancestrali di legare la dipartita dell’uno con il pieno
possesso dell’altro, invece di guardare ai vantaggi, indiscutibili, per entrambi. Il vegliardo avrebbe
goduto nei suoi ultimi anni di uno stile di vita quasi lussuoso, inimmaginabile prima, e al paziente “nudo
proprietario” sarebbe toccato il meritato sconto, talvolta molto interessante, sull’appartamento.
Certo, aveva poi concluso, ci si aspetta un po' di decoro, di saper stare al mondo quando il triste evento
si sarà verificato. Quindi, proseguiva tormentandosi il pizzetto, lui raccomandava sempre alla sua
clientela un adeguato “low profile”, il rispetto del minimo di etichetta che avrebbe, ad esempio, vietato
di chiedere notizia sullo stato di salute dell’usufruttuario e, men che meno, aveva esclamato portando le
braccia in alto, imporre la propria presenza ai funerali di quest’ultimo.
Matteo aveva convenuto con lui. Fuori luogo, davvero, avrebbero ben fatto, allora, parenti ed amici ad
additarlo al pubblico ludibrio, a guardarlo indecisi tra sdegno e stupore. Avrebbe ben fatto anche lui
così.
Poi ecco che il tempo, questo vecchio compare, era intervenuto e stavolta “il premio” era toccato a lui.
Allora non capiva perché mai tutti i presenti ce l’avessero con lui, isolandolo e lanciando sguardi di
assoluta riprovazione verso la sua esile figura, china sull’orlo della fossa, stretta nel suo giaccone da
marinaio.

Non era mica venuto lì per reclamare con protervia il suo diritto alla piena proprietà! Lui, Matteo
Rovere di anni centodue, usufruttuario.